Capitolo quarantatré – Parto da me

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Questo non è uno di quei post ispirati, che vogliono insegnare qualcosa o mostrare quanto profondi siano i pensieri partoriti all’una di notte, questo è un post che vuole segnare una sorta di punto zero, azzerare ogni cosa fin’ora fatta e ripartire.
Azzerare e non cancellare, non si cancella niente, ma voltare pagina e cominciare un nuovo capitolo, si può e si deve.
Credo che sia partito tutto da quel articolo di Huffington post Italia letto questa mattina, si parlava di stanchezza, quel tipo di stanchezza fisica e mentale che affligge ormai quasi tutti, uomini e donne del ventunesimo secolo.
Per quanto quell’articolo mi sia apparso melenso e artificioso, devo dire che mi ha spinto ad una riflessione, ad interrogarmi.f266f3742eae81ddfd8fd3baa82d98cf
Un passaggio in particolare mi ha colpito: ci si sente terribilmente stanchi dopo aver combattuto per qualcosa, dopo aver investito in quel qualcosa speranze, energie, e noi stessi.
Ci si sente stanchi, quando nonostante essersi messi in gioco, la partita non è finita proprio come speravamo.
E’ un peso enorme, un peso che sicuramente finiamo con il portarci dietro ed è vero quel che si dice che infondo non sei più capace di combattere e non ne hai più la forza, hai dato troppo, non puoi far altro che fermarti e riprendere fiato, prima di dare la svolta necessaria a tutto.
L’articolo infatti si conclude con un’esortazione molto positiva, si parla che anche se ci si sente stanchi, afflitti, e si crede che non ci stiamo affatto muovendo, alla fine in realtà ci muoviamo ancora, il cambiamento non deve per forza far rumore, può essere anche silenzioso.
E forse in certi casi, dopo battaglie così grosse, dopo fatti così complicati che sono riusciti a scuotere e far tremare la tua vita così nel profondo, un cambiamento silenzioso, che non fa rumore affatto, è necessario.

Quel post è riuscito a mettermi in crisi a spingermi a guardare alle mie spalle, per capire, fare un bilancio e non lo so cercare di farmi due conti di quello che mi è rimasto, perchè quel tipo di stanchezza alla fine ti induce a non percepire più nulla fra le mani, quasi tutto quanto ti stesse sfuggendo via, come la sabbia quando la stringi in un pugno e scappa via perché è troppa.
Mi vedo vivere. Sì, mi vedo vivere.
Ogni giorno nello stesso modo da mesi e mesi. Mi spingo in avanti perché in cuor mio so, che indietro non posso tornare e fermarmi… non è possibile.

Bisogna andare avanti sempre, anche quando la strada non è chiara e non sai dove ti porta o ti senti vagamente persa, perché alla fine il modo per ritrovare la via e giungere a destinazione lo trovi.

Mi sono sempre detta questo, mi sono sempre basata su queste parole.
E’ che sta volta non basta.
Questa volta è troppo, questa volta tutti i trucchetti usati per saltare il fosso non vanno bene, perché quel fosso è decisamente troppo profondo e largo.
Da un lato dover ammettere la verità, dover ammettere che nonostante gli sforzi e i pensieri, le discussioni cuore a cuore con gli amici di sempre, c’è un limite che questa volta non riesco a superare e mi rende ancora più stanca, mi rallenta.
Un limite nuovo con cui mi scontro ogni giorno, che ha preso nome e cognome proprio oggi: incapacità di perdonare. Incapacità di andare oltre.
Perdonare è pace, per tutti, per chi ha ferito e per chi è stato ferito.
Ma bisogna essere pronti a farlo e io devo riconoscerlo, non sono pronta, non vedo quell’opzione o se la vedo non voglio e non sono pronta a prenderla.
E quindi, che cosa posso fare? Devo finire con lo sforzarmi di fare qualcosa per cui ancora non sono pronta?

Il bello è venuto qui, dalla risposta che mi sono data.

Ricominciare da me.

E’ la risposta che sono riuscita a darmi oggi, sul cosa dovrei fare adesso a questo punto, visto che non sembra esserci una via d’uscita da questo loop demenziale.
Devo investire in me stessa, in quel pizzico di sano egoismo che mi permetta di accettarmi finalmente.
Devo riuscire ed essere in grado di amare me stessa e smetterla di darmi la colpa di ogni cosa o cercare il colpevole in tutta questa storia.
Mi sono sempre piaciuti i contrari: una fine che conduce ad un inizio. Un punto che poi al capoverso successivo apre un nuovo paragrafo e una nuova parte del discorso. La chiusura che può portare ad una nuova apertura. Imparare a dire no, per poter di nuovo dire sì con la consapevolezza di essere nuovamente in grado di fare qualcosa, di donarmi.
early-morning-sunrise-on-school-house-road-400x393Ma per far questo serve che torni a curare la mia persona, me stessa.
E così, da un’incapacità cronica, dall’aver scoperto questa mancanza, ho deciso di lanciarmi in una nuova avventura, in un viaggio davvero diverso rispetto a quelli fatti negli ultimi mesi.
In viaggio con me stessa, per riscoprirmi, giorno per giorno in tutte quelle piccole cose che determinano chi io sia, che sia passato o presente poco importa, purché mi riguardi.
Egoismo?
Chiamiamolo in questo modo, ma se non si ha la forza di guardare dentro di sé, di trascendersi e di conseguenza conoscersi, come si può sperare di poter anche solo essere felici?
Mi infastidisce terribilmente essere diventata una di quelle che dice: “si sto bene ma non sono felice.”
Perché infondo che mi manca? Ho una vita che vale la pena d’essere vissuta, con i suoi guai e i suoi difetti e tutto quanto. Ma appunto, ho una vita.
Eppure sto bene e non sono felice.
Che fastidio.
Merito di più, merito immensamente di più. Merito di potermi dire che sono felice e sto bene, nella vita che sto vivendo.
Perché se voglio il cambiamento, se voglio la magia di un momento che cambi ogni cosa, devo essere pronta io ad accoglierla.
Io.
Nessun altro.
Ragion per cui oggi, parto da me.

E sì, un’ovvietà permettetemela, altrimenti questo post diventa troppo serio.